mercoledì 3 ottobre 2012

Compagna d'avventure di un tempo arrugginito

Passo ancora a trovarti, lo sapevi? Mi fermo lì, in quello che era il nostro santuario, il nostro luogo di incontro, dove decidevamo dove andare e cosa fare. Ricordo perfettamente la gioia che provavo sapendoti lì ad aspettarmi, la coscienza di poterti ritrovare lì la volta successiva era rincuorante.
Quante volte ci siamo trovati nel cuore della notte per uscire, senza una meta, senza uno scopo, solo per essere liberi? Pioggia, neve, vento... Non ha mai avuto importanza. Nulla ci ha mai fermato, siamo finiti assieme in mezzo alle tempeste estive più forti e ne siamo usciti ridendo. Eravamo una cosa sola, nulla era in grado di tenerci testa. Poi è arrivato quel giorno d'estate l'anno scorso. L'incidente, per colpa mia. Una svista, e mi sono trovato a volare oltre il tetto di un'automobile. Mentre tu ti schiantavi rovinosamente a terra.
Eri l'unica mia preoccupazione, anche se zoppicavo vistosamente e a malapena mi reggevo in piedi.
ho sentito il tuo ciclo vitale rallentare, fermarsi e non ricominciare più. E' stato orribile.
E ancor oggi, a distanza di un anno, mi capita di piangere anche se per poco quando passo in quel garage che era il nostro santuario, a vedere se per miracolo le cromature sono tornate a splendere come una volta, se di nuovo ruggisci, come se alzare la serranda del garage mi desse la speranza che in un atto misericordioso qualcosa o qualcuno ti abbia riparato. Ma non è mai così. io ancora non ho trovato lavoro nonostante tutto, non sarò in grado di sistemarti ancora per un po'. Ma non temere, non lascerò che ti portino allo smembramento. Sei parte di me, e se mai dovrà succedere sarò io a smontarti un pezzo alla volta, fino all'ultimo. Sembrerà stupido parlare con un mucchio di metallo, ma quel mucchio di metallo mi ha donato una libertà che nessuno di voi mi ha mai fatto percepire.


Ti voglio bene tutt'ora, sai? :')

lunedì 2 luglio 2012

Schizofrenia di un sogno

"Sono qui a reclamare ciò che è mio di diritto.
Sono qui a riprendermi chi sono.
Il resto è solo silenzio nell'oscurità greve di questa notte."



Il rossore della sigaretta, l'unica luce stanotte, non mi distoglie dai miei pensieri...
Serpi di fumo aleggiano attorno alla mia persona, a far compagnia al guizzo degli occhi di qua e di là, in cerca di qualcosa, qualcosa che possa salvarmi da me stesso.
Ma purtroppo non c'è nulla che possa distrarmi...
Posso sentire la sua essenza, così familiare e al contempo sconosciuta. Mia in fondo, ma agli opposti.
Posso sentire il gelo delle mie stesse mani che senza muoversi mi accarezzano le spalle, la mia voce sussurrare, un nonsochè di metallico e profondo nei toni

"vieni con me..."

Ma che? Scuoto la testa cercano una lucidità irraggiungibile.

"vieni con me!"

Di nuovo quella voce, a cui se ne aggiungono altre, sempre di più, sempre più spente, più morte.
Una cantilena infernale mi sfiora i timpani...

"vieni con me, nessuno ti vuole. Vieni con me, vedrai, non duole!
abbandonati al tuo destino, sfida la sorte...
sai già chi di noi è il più forte..."

Sudo freddo, mi tremano le mani, ho una paura folle.
Le loro risate riecheggiano nella mia mente...
Ma questa sera.... questa sera....
Affronto lo specchio come un claustrofobico può affrontare un' ascensore bloccato fra due piani.
Ormai sono tutto un tremore, mi devo appoggiare al muro per non cadere, annaspando in cerca d'aria.
Osservo il mio riflesso, e in una visione distorta del corridoio che pare infinito mi accorgo che piango sangue.
I miei occhi non sono nient'altro che due chiazze rosse gocciolanti.
Vedo, in preda al panico vedo cose terribili, vedo ogni mia singola paura prendere forma e fissarmi con l'inquietudine di un lupo affamato.
E senza rendermene conto mi ritrovo in ginocchio, urlando bestemmie al firmamento, chiedendo una spiegazione ad un Dio in cui non credo.

"Non di nuovo, vi prego... non di nuovo..."

Piango fra gli spasmi dell'isteria mentre intorno a me cala il silenzio.

Solo un'ombra si avvicina distaccandosi dal gruppo, e prende forma.
Sono io. Lo stesso io che mi sussurrava all'orecchio poco fa.
Mi porge qualcosa con le sue mani gelide, e sul suo sguardo spento si profila un sorriso.
E' una pistola. Quella che ho comprato per difendermi da possibili rapinatori che girano in queste zone. Il cassetto in cui la custodisco è aperto, così come il bauletto.
Fisso con orrore l'arma, poi noto con la coda dell'occhio un cenno di una mano.
Mi ritrovo immobilizzato alla parete, mentre le ombre si dispongono in fila indiana. Non posso muovermi, sono come incatenato. Cerco di capire cosa succede, ma riconosco solo il terrore di quei momenti...
Ad un tratto la prima ombra si scaglia contro di me a testa bassa, puntandomi come un toro impazzito.
Mi colpisce in pieno, passandomi attraverso. E in quell'istante l'orrore prese forma. Ogni ombra che mi passava attraverso mi faceva vivere momenti in cui mi trovavo impotente di fronte alle mie più grandi paure.
Una dopo l'altra si scagliavano senza pietà contro di me, ridendo selvaggiamente. E io urlavo, per il dolore, la paura, la follia che cresceva in me e la rabbia. In questa loro frenesia nessuno si accorse che riuscivo a muovere nuovamente le braccia. Subito l'idea mi balzò alla mente...
Senza esitazione urlai ancora una volta, e con tutta la rabbia che avevo dentro sbraitai

" QUESTA NOTTE RIAVRO' ME STESSO!"

Ridendo nevrastenicamente mi puntai la pistola alla tempia. E feci fuoco.
Urla straziate mi giungevano sempre più lontane, nel buio di quella notte infinita. Infine solo il silenzio.
Poi mi svegliai... dopo 10 anni di coma, a seguito di un tentato suicidio. E mentre i medici increduli mi visitavano come fossi un miracolato, sorridendo sussurrai

"ce l'ho fatta..."

E tornai alla vita con il sorriso sincero ma amaro di chi ha vissuto la morte.

domenica 27 maggio 2012

A ruota libera

Oggi non ho voglia di scrivere un qualche racconto campato per aria dietro al quale metaforicamente si celi qualcosa di mio, non mi va l'idea del teatrino. Oggi raccontiamo una storia vera.
La mia.
Avete presente quando alla televisione si parla di episodi di violenza domestica, dove sono partiti 4 schiaffi 2 pugni e una bottiglia? E avete presente la reazione generale per la serie "ma dove stiamo andando a finire?"
Beh, io sinceramente quando sento certe cose rido amaramente, e dentro di me ricordo, come ogni giorno, la mia visione di violenza domestica. Ai miei tempi avrei pagato oro perchè il tutto si limitasse a qualche legnata.
Solitamente i bambini sono di pelle chiara con le guance rosse, specie d'inverno. Io ero un livido unico, più violaceo e nero che bianco, in una società che non si preoccupava minimamente della mia esistenza. Andavo a scuola ai tempi, durante le lezioni avevo crisi di pianto, comportamenti aggressivi verso chi mi si avvicinava, sembravo uscito da un qualche film. E nonostante questo la gente non si è mai preoccupata di cercare di darmi una mano. Sono cresciuto disastrosamente, con un padre che mi odiava per i due soldi che richiedeva il mio mantenimento, e che non dimenticava mai di ricordarmi quanto io fossi un errore, e di dimostrarmi che per lui ero solo un sacco da boxe, una madre nevrastenica che condivideva una situazione parallela alla mia, aggravata dalla maggior coscienza della sua età, e dalle maggiori legnate prese, che faceva la spoletta avanti e indietro dall'ospedale nel terrore di tornare a casa e non trovarmi più. E un fratello poco più che neonato, che volendo raccontare ciò che ho visto accadergli verrei fermato prima, esiste un limite anche solo al sentire certe cose. Eppure io le ho vissute, e sono ancora qui. Certo, ho i miei problemi come tutti, ma conduco una vita normale, se non fosse che nessuno saprà mai cosa ho veramente vissuto.
E rido davanti al notiziario tv ricordando quando a 7 anni mia madre meditava il suicidio, mio padre scopava allegramente le sue colleghe di lavoro alla nostra presenza mentre mia madre lavorava pulendo le case di signore anziane per avere due soldi per vivere, visto che lui aveva deciso che non ci avrebbe dato nulla.
E ancora rido amarissimamente ricordando le volte che sono finito in ospedale, le volte che c'è finita mia madre, e la volta in cui mio fratello è quasi morto. Fortunatamente lui non ricorda, ma io questo peso non me lo toglierò mai di dosso. Le minacce che ci faceva quel figlio di puttana, me le ricordo una per una. I suoi pugni, i suoi calci, gli oggetti che volavano nella mia direzione, me li ricordo tutti. Mia madre che cercava di difendermi e finiva in ospedale, me la ricordo. Svegliarsi alla mattina piangendo per il dolore, sempre ammesso che riuscissi a dormire, anche questo me lo ricordo. E sentirsi sempre e comunque solo, in mezzo a gente che ignora il tuo dolore.
La mia fortuna è stata quella di essere cresciuto sulla base di quello che vivevo, e non succube di esso. Sono cresciuto sempre più forte interiormente, e questa cosa mi ha salvato la vita. Mia madre porta ancora gli strascichi di quel passato lontano ma che non possiamo scordare, mio fratello, cresciuto nei postumi di questa follia, ha seri problemi di autostima e si fa mettere i piedi in testa da porci e cani. Cerco di aiutarlo, ma la sua convinzione è più forte anche della prova dei fatti, e non riesco comunque ad avvicinarlo come vorrei, perchè in tutto questo tempo non sono stato per lui un fratello, ma il padre che non abbiamo mai avuto. E come tale non avrò mai accesso a quella parte della sua vita più personale, quella dove le cose potrebbero cambiare.
Ho lottato contro la rabbia che mi portavo dentro per anni, cercando di reprimerla in ogni modo, di sedare quella voglia di vendetta verso il mondo, quel dolore che riaffiorava e mi faceva tremare le mani. Per anni ho dormito poco più di un paio d'ore, la mia mente intrappolata in una serie di pensieri ineluttabili. Ora sono riuscito a fare pace con me stesso, e cerco di dare una mano come posso a chi per un motivo o per un altro, soffre in solitudine.
I miei ricordi non si affievoliranno mai, segni e cicatrici di un passato che è stato la mia rovina ma che mi ha anche dato la possibilità di essere chi sono oggi.
E sto scrivendo così, a ruota libera, più perchè in effetti so che scrivendo tanto posso evitare di portare esempi che in questo momento non voglio scrivere che per altro.
E poi perchè anche volendo, non saprei cosa scrivere. Ho troppe cose da poter raccontare, e ognuna di queste è straziante, al punto di non essere a volte considerata possibile.
Vorrei poter vedere come avreste vissuto con quello che ho passato io. vorrei potervi proiettare in testa ciò che ho vissuto, ma sono convinto che in pochi saprebbero reggere un peso simile.
E poi ti ritrovi davanti a qualcuno che conosci, disperato perchè il padre non lo/a lascia uscire fino a tardi il sabato sera (coprifuoco all'1 anzichè alle 4) e che ti viene a dire "mio padre è una bestia". E tu taci, che vorresti vomitargli/le contro tutto quello che stai pensando in quel momento, tanto non capirebbe.
E' proprio vero, la sofferenza ti apre gli occhi, ti fa vedere il mondo sotto un'altra luce.
Ora smetto di scrivere, mio fratello ha un crampo e devo dargli un occhio.
Speriamo che mia madre non si schianti tornando indietro dopo quasi 20 ore di lavoro, speriamo come sempre.

domenica 13 maggio 2012

Lonely Day

giorno 17

HO PERSO OGNI APPIGLIO

Stamattina abbiamo spartito le ultime provviste, un pezzo di pane e una barretta di cioccolato a testa.
Siamo rimasti solo in tre.
Paolo, l'unico vero amico rimastomi, non si è svegliato, non si sveglierà più. Lucia è impazzita, ha iniziato ad urlare ed è corsa via.
Lui era la sua ultima ragione di vita, l'ultima persona a cui veramente tenesse. Ed è morto stanotte.
Abbiamo passato la mattina a cercarla, e l'abbiamo trovata dopo qualche ora, a testa in giù nel fiume.

Abbiamo provato a rianimarla, ma era tardi, troppo tardi.
Oggi ho pianto, non credevo che ci sarei più riuscito. E invece...
Pur di sopravvivere ci siamo spartiti i loro vestiti, almeno possiamo scaldarci un poco in più.
I soccorsi arriveranno, ci diciamo l'un l'altro. Ma sappiamo tutti benissimo che nessuno più ci verrà a cercare.
"La guerra è finita, festeggiamo tutti!", "siamo liberi finalmente!"... 
Ma la resa nemica non era arrivata alle orecchie dei nostri "salvatori", e così hanno bombardato tutto. 
Siamo in mezzo al niente... e di questo niente diventeremo parte, a quanto pare.
Abbiamo seppellito i corpi nel pomeriggio, fra le lacrime. Sarebbe stato meglio morire bombardati che vivere questo incubo.
Con loro due di noi sopravvissuti sono morte 5 persone. Stiamo vacillando, manca la forza di arrivare alla sera...
Non dureremo ancora molto.
Ci sosteniamo a vicenda, per quanto possibile, ma nessuno di noi sa fare miracoli.
Speriamo di trovare un rifugio isolato per la notte, fa un freddo cane e tutto ciò che abbiamo per coprirci sono le t-shirt e i pantaloni che abbiamo tolto ai cadaveri...


Siamo in una piccola grotta, abbiamo anche 3 pezzi di legna non bruciata dalle esplosioni. Meraviglioso, stanotte si dorme al caldo!
Ho ancora voglia di vivere, ancora ci credo, ancora spero




giorno 18

Francesco sta male. Lo abbiamo trovato che mangiava terra, in una nevrastenia che non si può definire umana.
Nella mattinata gli è salita la febbre, ha iniziato a vomitare e delirare.
Io e Mattia siamo andati a prendere dell'acqua per cercare di tenere bassa la temperatura. Non vogliamo che muoia. L'idea che anche lui ci lasci ci atterrisce più della morte stessa...
Oggi non possiamo spostarci, Francesco sta troppo male, non si regge in piedi, e trasportarlo in braccio è un suicidio, stiamo a malapena in piedi da soli.
Ho paura, ho paura di rimanere solo in questo posto.


Francesco nel delirio ha iniziato a cantare Lonely Day. Nulla di più azzeccato. Ascoltiamo in silenzio, sta peggiorando e molto probabilmente domani saremo in due.
Ho ancora voglia di vivere, ancora ci credo, ancora spero. Questa chiusura inizia a perdere di senso.



giorno 19

Sto perdendo il controllo. Anche Francesco è morto. Non abbiamo più cibo. Vaghiamo senza sapere dove stiamo andando, ma l'impressione è che l'intero paese sia stato raso al suolo. 
Mattia ride guardando il vuoto. Gli ho chiesto cosa stesse pensando.
Mi ha risposto "Ora so. Solo ora riesco a comprendere. E' strano come noi temiamo la morte, finchè non capiamo che è l'unica opzione"




Non abbiamo più parlato, mi sono incamminato sperando di poter vedere dall'alto la situazione. mi sarò assentato per un paio d'ore, non di più. Al mio ritorno Mattia non c'era più.
Ora sono davvero solo. Anzi no. La follia prima o poi verrà a tenermi compagnia.
Sono terrorizzato, ma non ho la forza di uccidermi. Se deve succedere, spero che accada nel sonno.



giorno 22

Forse ricominciare a scrivere mi terrà coi piedi a terra. Negli ultimi 2 giorni ho camminato in cerca di qualsiasi cosa. O forse solo di una ragione per andare avanti. Però ora qualcosa è cambiato... In lontananza, posto in alto, mi sembra di intravedere qualcosa che possa assomigliare ad un edificio ancora in piedi. Ora è tardi, ma domani andrò a dare un'occhiata.
Non riesco a dormire, continuo a rivedere scorrere le immagini  di tutti coloro a cui tenevo. Sono tutti morti. "passati a miglior vita" si dice. Però io non credo in Dio, cosa c'è dopo la morte per quelli come me? Niente? Sono destinato a sparire nel nulla? Piango come un bambino da solo nella culla. Mai sono stato così vicino a cedere. Ma voglio arrivare a domani. Voglio vedere cos'è quella figura in lontananza. Voglio vivere, se ancora ne sono capace.



giorno 23

Se qualcuno leggerà mai questo diario, questo giorno è l'epilogo del mio vagare. Sono arrivato a quella macchia che in lontananza mi aveva dato speranza. E' una chiesa. Ironico, erano anni che non entravo più in una chiesa... Qui è tutto in disuso da tempo immemore ormai, probabilmente più che una chiesa è un piccolo santuario nel quale nessuno metteva più piede da decenni.
Non c'è nulla che si possa definire commestibile, ma c'è un campanile. La struttura interna è in legno, ma se riesco a salire magari scopro qualcosa di utile.
Sono arrivato in cima, il legno scricchiola in brutto modo, ma sono arrivato.
Sto scrutando i dintorni, quando ad un tratto sento le pale di un elicottero.
Da lontano lo intravedo, all'orizzonte. Non riesco a contenere la mia gioia, salto per rendermi più visibile ma il pavimento crolla sotto le mie gambe e pianerottolo dopo pianerottolo il legno marcio si spacca e precipito a terra all'interno della chiesa. Mi sono rotto entrambe le gambe, non riesco a muovermi e ho un pezzo di legno conficcato nel petto. Fatico a respirare, fra poco sarà tutto finito...
L'elicottero se n'è andato, e a breve anche io.
Mattia aveva ragione. Non ho più paura. Inizio a cantare Lonely Day, e attendo la mia fine...
Nessuno saprà mai di noi. Torniamo alla terra, a ospitare le larve di qualche insetto, ad essere cibo per la natura. 
Sto arrivando, aspettami.





-Così termina la vita. Cosa c'è dopo la morte? Ognuno ha la sua idea. Ognuno farà fare a questi ragazzi la fine che più lo/a appaga, e darà loro le origini più disparate. Ma il succo non cambia: siamo in grado di controbilanciare la grandiosità di alcune nostre azioni con l'orrore di molte altre. Anche nel privato. Non serve la guerra fra paesi, bastano due persone.
Con una mano ergiamo, con l'altra distruggiamo indipendentemente da chi ci troviamo davanti. Siamo delle creature meravigliosamente mostruose.-

mercoledì 25 gennaio 2012

La realtà.

"A voi che dite che chi lascia la strada vecchia per quella nuova, sa quel che lascia ma non sa quel che trova.
A voi che dite meglio non rischiare.
A voi che le novità vi fanno tremare le ginocchia."

Venne il giorno in cui l'acciaio si sfaldò dall'armatura, quando, abbandonata la cotta di maglia e gettate a terra le armi, il guerriero si fermò.
Venne il giorno in cui le fortificazioni cedettero il passo alla nuda terra.
Venne il giorno in cui ogni difesa venne abbassata, resa incondizionata, incontro pacifico e diretto.
Il mostro di ferro null'altro era che una persona...
Che di fronte alla trasparenza più pura dell'unica creatura rimasta sul campo, che lo fissava, scese dal proprio piedistallo di cupo terrore, e poggiando sulla terra si rese conto di non averci mai messo piede prima d'ora.
...Null'altro che una persona...

domenica 16 ottobre 2011

Improvvisazione in la minore.

Da quanti giorni non mi rado? 10? 15? un mese?
Sto iniziando a perdere il conto, o forse il tempo mi sta rallentando le sinapsi...
La sgradevole vista del mio volto sfatto riflesso nelle acque del lago illuminate da un lampione solitario mi priva di quella poca limpidezza d'animo rimastami, ma sorrido lo stesso.
Ho freddo. sto tremando e ormai non riesco più a dormire, nonostante siano le 5 di mattina.

Oggi è Natale.

Vinco il torpore da freddo e mi alzo. Sono umido sul fianco su cui ho dormito quelle poche ore concessemi da madre natura, ero talmente stanco che non mi sono accorto dell'erba bagnata. Per fortuna non ha nevicato, penso, e sorrido di fronte all'ironia di questo giorno.
Cammino lungo la sponda del lago, non voglio che mi vedano, e chissenefrega del fatto che a quest'ora non c'è anima viva.
Preferirei non esistere che essere chi sono.
Cerco di riscaldarmi come posso, anche se con la febbre da cavallo che mi ritrovo tremerei anche essendo ai Caraibi.
Questo è il mio primo Natale da "ombra".
Assorto nei miei pensieri si fa giorno senza che me ne accorga.
La luce dei festoni natalizi viene lentamente soppiantata da quella pallida del sole invernale.
Mi fermo a fissare quel disco di luce fioca che si innalza nel cielo bianco di questo giorno che odio prima ancora che sbocci, e rivedo parti della mia vita.
E nel mio rimembrare la luce solare si trasforma in quella di due fari: i fari di colui che mi ha rovinato la vita.
Rivedo il camion venirci addosso sbandando in contromano. Rivedo l'asfalto sempre più vicino.
Dolore, dolore immane, il sapore del mio sangue. Rivedo la mia auto ridotta ad una lattina schiacciata male, la testa della donna che amavo pendere soave e senza vita da un lato, gli occhi azzurri come fiamme brillanti d'acqua pura spalancati nel terrore più buio e profondo.
Rivedo mia figlia, poco più di 3 anni, nel suo candido vestitino da festa, pian piano sempre più rosso, pian piano sempre più morta, il braccio destro in preda a tremori che mi dilaniavano l'anima, la strappavano da me e la facevano a pezzi. Aiutami, la sua ultima parola. Voleva il mio aiuto.
Ed ero impotente.
Poi le sirene dell'ambulanza,, i commenti sarcastici dei medici sul fatto che io fossi ancora in vita. Fra il dolore e lo shock non riuscivo a parlare, ma mi accorsi di essere conciato davvero male.
E mentre ricominciavo a prendere il controllo di me mi caricarono in ambulanza con il carnefice della mia famiglia. Tutta la vita ricorderò l'olezzo d'alcool che si levava dalla sua persona. Era ubriaco marcio, e nemmeno si era accorto dell'accaduto. Alla sua vista trasalii, ed approfittando di un momento di distrazione dei medici del turno di notte, scesi dalla barella, poggiando sulla sola gamba sinistra - l'altra non la riconoscevo neppure- gli saltai addosso.
Riuscirono a bloccarmi prima che lo ammazzassi, purtroppo.
Avrebbero dovuto lasciarmi sull'asfalto a morire quei cani rognosi, cazzo.
Ma il loro fottuto codice gli imponeva di salvarmi anche se nulla gli importava di me o della mia famiglia. a dire il vero mi avrebbero accontentato volentieri, glielo lessi in volto.
Lì la mia vita finì. Presto persi il lavoro, mi allontanai da tutti, vendetti la casa. Non volevo avere più nulla a che fare con quella merda di società, li volevo solo vedere bruciare, li volevo tutti morti, a cominciare da chi mi fissava passando per strada, in un misto di disgusto e compassione.
Che cazzo volete? Dai, lanciatemi gli avanzi del vostro pasto, oramai valgo meno di un animale.
Sono giorni che non mangio, ho fame. Tanta fame, boia di un mondo perverso.
Raccolgo quello schifo di violino, il mio unico avere, e mi avvio zoppicando verso il centro città, teatro della più atroce violenza mai vista ed accettata dall'uomo.
Trovo un foglio per terra, lo raccolgo ed improvviso un piattino per raccattare le improbabili monete, che più che posate mi venivano gettate contro, quasi mi volessero scacciare dalla loro vista, i passanti.
Mi fermo al mio angolo, raccolgo quel briciolo di orgoglio che mi è rimasto, ed alzo lo sguardo.

Non mi inginocchierò davanti a voi, luridi cani.

Le vostre puttanelle aprono le cosce a chiunque passi mentre voi giocate ai grand'uomini, sentendovi superiori solo perchè girate con auto da 100.000 euro. Fottetevi, un uomo non sapete nemmeno cosa sia.
Inizio ad improvvisare.
Improvviso in la minore, la tonalità che meglio mi si addice. Chiudo gli occhi, e mi rivedo a capo della Filarmonica, ben vestito e curato, la mia improvvisazione eseguita dall'intera orchestra, maestri provenienti da ogni paese.
Ed ecco che si aggiungono archi, ottoni, un pianoforte, delle percussioni. Un brivido mi sale lungo la schiena.
Suono un requiem alla vita, un inno alla disperazione, la follia dentro alla rabbia, il dolore. Suono con una pienezza mai provata prima. Posso sentire l'orchestra seguirmi, il pubblico in silenzio, estasiato, mia moglie e mia figlia in prima fila sorridono quando mi giro per un istante a guardarle. Arrivo al culmine del climax musicale, termino l'esecuzione, e mi ritrovo piegato in due, un inchino sgraziato, tossendo come un cane vagabondo sotto la pioggia battente.
Cado in ginocchio sotto i colpi impietosi di tosse. Un dolore atroce mi attanaglia il petto mentre sputo sangue, il violino cade ammaccandosi a  terra.
Una lacrima mi solca il viso senza che nessuno la veda.
Sono di nuovo solo.

mercoledì 20 luglio 2011

Storia di Solitudine e Oblio.

Ogni mattina, ogni dannata mattina mi sveglio, anche quando non vorrei, quando il desiderio di cavare via quei miei due occhi che si aprono e tornano alla vita è forte come non mai.
Piove,anche oggi.
L'opprimente pioggia di questo freddo autunno mi dà la nausea; so che anche oggi non ti vedrò.
Passo la mattina cercando qualcosa che dia un senso alla mia giornata, almeno per oggi, ma in questa mia testa bacata non c'è ancora spazio per nulla oltre al voltastomaco.
Passo distrattamente davanti allo specchio, e mi rivedo 10 anni fa.
Rivedo l'essere privo di vita che ero...
Riesco a leggere il terrore nei miei stessi occhi, e decido quindi di glissare su qualunque riflessione potessi voler iniziare.
Il tempo continua a passare, ma certe ferite non si rimarginano mai; un cuore straziato e trascinato per terra non tornerà mai come prima.
Caffè nero e senza zucchero.
Nella solitudine non mi è più nemmeno concesso di piangere.
Passo la giornata non so come.
E arriva la sera, fredda e terribile, e ancora sono solo.
Sono un morto che cammina.
Sono un morto.
Sono.
E forse nemmeno quello.
Un bicchiere di assenzio. Due.Tre.
Dove sei? DOVE SEI?!?
Ed eccolo infine.
L'oblio giunse dolce su di me, e anche allora dimenticai...