domenica 16 ottobre 2011

Improvvisazione in la minore.

Da quanti giorni non mi rado? 10? 15? un mese?
Sto iniziando a perdere il conto, o forse il tempo mi sta rallentando le sinapsi...
La sgradevole vista del mio volto sfatto riflesso nelle acque del lago illuminate da un lampione solitario mi priva di quella poca limpidezza d'animo rimastami, ma sorrido lo stesso.
Ho freddo. sto tremando e ormai non riesco più a dormire, nonostante siano le 5 di mattina.

Oggi è Natale.

Vinco il torpore da freddo e mi alzo. Sono umido sul fianco su cui ho dormito quelle poche ore concessemi da madre natura, ero talmente stanco che non mi sono accorto dell'erba bagnata. Per fortuna non ha nevicato, penso, e sorrido di fronte all'ironia di questo giorno.
Cammino lungo la sponda del lago, non voglio che mi vedano, e chissenefrega del fatto che a quest'ora non c'è anima viva.
Preferirei non esistere che essere chi sono.
Cerco di riscaldarmi come posso, anche se con la febbre da cavallo che mi ritrovo tremerei anche essendo ai Caraibi.
Questo è il mio primo Natale da "ombra".
Assorto nei miei pensieri si fa giorno senza che me ne accorga.
La luce dei festoni natalizi viene lentamente soppiantata da quella pallida del sole invernale.
Mi fermo a fissare quel disco di luce fioca che si innalza nel cielo bianco di questo giorno che odio prima ancora che sbocci, e rivedo parti della mia vita.
E nel mio rimembrare la luce solare si trasforma in quella di due fari: i fari di colui che mi ha rovinato la vita.
Rivedo il camion venirci addosso sbandando in contromano. Rivedo l'asfalto sempre più vicino.
Dolore, dolore immane, il sapore del mio sangue. Rivedo la mia auto ridotta ad una lattina schiacciata male, la testa della donna che amavo pendere soave e senza vita da un lato, gli occhi azzurri come fiamme brillanti d'acqua pura spalancati nel terrore più buio e profondo.
Rivedo mia figlia, poco più di 3 anni, nel suo candido vestitino da festa, pian piano sempre più rosso, pian piano sempre più morta, il braccio destro in preda a tremori che mi dilaniavano l'anima, la strappavano da me e la facevano a pezzi. Aiutami, la sua ultima parola. Voleva il mio aiuto.
Ed ero impotente.
Poi le sirene dell'ambulanza,, i commenti sarcastici dei medici sul fatto che io fossi ancora in vita. Fra il dolore e lo shock non riuscivo a parlare, ma mi accorsi di essere conciato davvero male.
E mentre ricominciavo a prendere il controllo di me mi caricarono in ambulanza con il carnefice della mia famiglia. Tutta la vita ricorderò l'olezzo d'alcool che si levava dalla sua persona. Era ubriaco marcio, e nemmeno si era accorto dell'accaduto. Alla sua vista trasalii, ed approfittando di un momento di distrazione dei medici del turno di notte, scesi dalla barella, poggiando sulla sola gamba sinistra - l'altra non la riconoscevo neppure- gli saltai addosso.
Riuscirono a bloccarmi prima che lo ammazzassi, purtroppo.
Avrebbero dovuto lasciarmi sull'asfalto a morire quei cani rognosi, cazzo.
Ma il loro fottuto codice gli imponeva di salvarmi anche se nulla gli importava di me o della mia famiglia. a dire il vero mi avrebbero accontentato volentieri, glielo lessi in volto.
Lì la mia vita finì. Presto persi il lavoro, mi allontanai da tutti, vendetti la casa. Non volevo avere più nulla a che fare con quella merda di società, li volevo solo vedere bruciare, li volevo tutti morti, a cominciare da chi mi fissava passando per strada, in un misto di disgusto e compassione.
Che cazzo volete? Dai, lanciatemi gli avanzi del vostro pasto, oramai valgo meno di un animale.
Sono giorni che non mangio, ho fame. Tanta fame, boia di un mondo perverso.
Raccolgo quello schifo di violino, il mio unico avere, e mi avvio zoppicando verso il centro città, teatro della più atroce violenza mai vista ed accettata dall'uomo.
Trovo un foglio per terra, lo raccolgo ed improvviso un piattino per raccattare le improbabili monete, che più che posate mi venivano gettate contro, quasi mi volessero scacciare dalla loro vista, i passanti.
Mi fermo al mio angolo, raccolgo quel briciolo di orgoglio che mi è rimasto, ed alzo lo sguardo.

Non mi inginocchierò davanti a voi, luridi cani.

Le vostre puttanelle aprono le cosce a chiunque passi mentre voi giocate ai grand'uomini, sentendovi superiori solo perchè girate con auto da 100.000 euro. Fottetevi, un uomo non sapete nemmeno cosa sia.
Inizio ad improvvisare.
Improvviso in la minore, la tonalità che meglio mi si addice. Chiudo gli occhi, e mi rivedo a capo della Filarmonica, ben vestito e curato, la mia improvvisazione eseguita dall'intera orchestra, maestri provenienti da ogni paese.
Ed ecco che si aggiungono archi, ottoni, un pianoforte, delle percussioni. Un brivido mi sale lungo la schiena.
Suono un requiem alla vita, un inno alla disperazione, la follia dentro alla rabbia, il dolore. Suono con una pienezza mai provata prima. Posso sentire l'orchestra seguirmi, il pubblico in silenzio, estasiato, mia moglie e mia figlia in prima fila sorridono quando mi giro per un istante a guardarle. Arrivo al culmine del climax musicale, termino l'esecuzione, e mi ritrovo piegato in due, un inchino sgraziato, tossendo come un cane vagabondo sotto la pioggia battente.
Cado in ginocchio sotto i colpi impietosi di tosse. Un dolore atroce mi attanaglia il petto mentre sputo sangue, il violino cade ammaccandosi a  terra.
Una lacrima mi solca il viso senza che nessuno la veda.
Sono di nuovo solo.

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